29 giugno 2013

Lo Zaino

Sono anni che, saltuariamente, scrivo raccontini scout.
Da oggi, per festeggiare i cinquantamila visitatori sul mio blog, inizio un nuovo esperimento.
Sto scrivendo una serie di storielle scout, magari collegate tra di loro, ma le pubblicherò non in ordine 'logico', ma in ordine cronologico di scrittura, con label "L'assalto alla cambusa".
Divertitevi e criticatemi.





In tanti anni la cosa che per me è rimasta sempre uguale è il pomeriggio prima della partenza per il Campo Scout.

E la notte.

E il mattino.

Lo so, ogni zaino è diverso: Branca EG e Branca RS richiedono approcci differenti.

Contenuti differenti.

Ma il tempo per fare lo zaino è lo stesso.

I pensieri dello zaino gli stessi.

Ho avuto tre zaini, vediamo, in quanti? 

25 anni di scoutismo?

Sì.

Tre zaini.

Un vecchio zaino della fanteria, comprato usato da Michele La Stoppa, senza spallacci imbottiti e senza intelaiatura, per i primi anni di Reparto.

Quando si bagnava (e capitava spesso) puzzava terribilmente.

Non so che fine abbia fatto, probabilmente si è disintegrato ed è stato gettato via.

Poi, uno zaino Ferrino, di nylon verde, con telaio di alluminio.

Mi ha abbandonato alla fine dell’Hyke del CFM.

Diciamo che ho rotto il telaio di alluminio per fatica …

Ma non era da gettar via: è stato conveniente riciclato per qualche ragazzino del Reparto.

Poi, un altro Ferrino, con telaio interno.

Il mio zaino.

Conosco il mio zaino. 

So dove vanno a finire le cose.

“Vorrai dire: dove sono conservate le cose?”

No, intendo esattamente dove vanno a finire.

Metto il sacco a pelo in fondo ed al suo fianco la sacca notte, poi la giacca a vento a contatto con la schiena ed il resto del vestiario al centro. 

In cima cibo e spiritiera, cassetta del pronto soccorso ed impermeabile.

In genere, l’impermeabile è l’unico che resta in cima, alla sosta per il pranzo. 

La spiritiera è regolarmente abbracciata al sacco a pelo: ma si sa, per me, mangiare e dormire ...

Ci metto un sacco a fare lo zaino perchè perdo tempo.

Perdo tempo perchè penso anche ad altro.

Francamente, penso al “Chi me lo fa fare”.

Ci penso sempre.

Ci penso mentre metto in atto i trucchi del mestiere: le batterie della macchina fotografica nella tasca della cintura dello zaino.

I Fiammiferi e l’accendino in piccole tasche separate.

Le spille da balia, come da manuale.

Ago e filo. L’ago è magnetico, perchè una bussola di riserva può far comodo.

Il filo, non tanto per ricucire bottoni, ma per sgonfiare le bolle ai piedi durante la notte... 

E non vi dico come: certi vecchi trucchi si tramandano solo da Capo a Ragazzo...

Rivedo la cassetta del pronto soccorso: per certe cose mi sento tranquillo solo se controllo due volte.

Consumerò una quantità industriale di repellente antinsetti, lo so, come so che esaurirò la pomata per le contusioni e l’acqua ossigenata.

Se posso, un po’ di borotalco.

A portata di mano, sempre nella cintura, metto le caramelle.

Quelle del commercio equo e solidale.

L’ideale per un boost zuccherino quando le forze svaniscono di fronte all’ennesima salita a sorpresa.

Arrotolo l’isolante e mentre lo assicuro col cordino (di canapa, non bariamo!) allo zaino mi viene in mente che non ho ancora sistemato il mio rotolo di corda di riserva.

Va nella stessa tasca del coltello, un banale opinel da cinque euro con cui, però, faccio di tutto. Ci taglio il pane, il cordino (quando ci vuole ci vuole), la carne, la frutta e il formaggio. E, no: non l’ho mai usato come bisturi... beh, quasi mai.

La luce elettrica, la doccia, il letto ed il frigorifero, niente di questo mi mancherà.

Non c’è posto nello zaino per molte cose.

L’ansia è troppo ingombrante, non ci entra.

Nemmeno la viltà spicciola, quella che ti fa voltare dall’altro lato in autobus quando un cretino fa un commento razzista su un poveraccio col suo ingombrante borsone di speranze e merce contraffatta.

Però lo zaino non è ancora chiuso.

Nel frattempo, l’ansia ha ancora campo libero.

Inizio a ricoprire la cartina del percorso col nastro adesivo.

La mappa IGM è stampata su un normale foglio A5.

La impermeabilizzo col nastro adesivo, un gesto meccanico, perfetto per far evaporare l’ansia.

Quando finisco di ricoprire la carta col nastro adesivo avvolgo la mappa attorno alla bussola. Anche questa resta a portata di mano in una tasca della cintura dello zaino.

Quando si marcia, sotto la pioggia, lo sguardo alla mappa in basso ed alle cime in alto è pura consolazione: sapere, una volta ogni tanto, nella vita, dove si è e dove si sta andando.

Mi concentro per evitare che la paura si infiltri tra cinghie e chiusure lampo nel mio zaino.

La paura che tutto quello che accadrà, portando lo zaino, sia una inutile o, peggio ancora, dannosa menzogna.

Che tutto lo Scoutismo infonda una perniciosa idealità laddove dovrebbe inculcare solo tecnica e che strappi via da corpi ed anime i sani anticorpi dell’egoismo e della amoralità così necessari alla quotdianità contemporanea.

Provo gli spallacci, ma so che è un gesto inutile: l’assestarsi del peso sulle spalle è mutevole, variabile, continuo.

Rimetto a terra lo zaino, in verticale.

Inizio a chiuderlo, verifico le cerniere, tiro al massimo le cinghie sotto cui ho incastrato l’isolante.

E spero di lasciar fuori l’ultima paura.

Che quello sia il mio ultimo zaino del mio ultimo campo Scout.

26 giugno 2013

La Difesa Aerea dell'Europa (sogno di una notte di inizio estate)

Facciamo finta di vivere in un Paese in cui lo sport nazionale non sia sostenere contemporaneamente il diritto della moglie ad essere ubriaca e della botte a restare piena.
Ossia, supponiamo che tra i miei lettori, del Partito Democratico e non, vi siano persone consce della necessità di scegliere tra l'ombrello militare USA e quello nazionale/europeo.
Un or secco, per dirla in altri termini.
In questi  giorni di feroce dibattito sulla faccenda "F-35" solo Pippo Civati (mi pare) è andato oltre il classico "No, senza se e senza ma" tipico delle italiche genti, proponendo, invece, la  più sensata alternativa dello spostamento a livello europeo delle spese militari.
La faccenda è terribilmente complessa, quindi ci permetteremo qualche semplificazione.
Per prima cosa le fonti: wikipedia, tanto per uniformare le cose.
Poi l'ambito: esclusivamente i velivoli da combattimento.
Con il classico pallottoliere ho compilato la tabellina seguente contenente gli aerei da combattimento delle aviazioni dei paesi dell'Unione Europea:


Italia 197
Francia 239
Germania 274
Spagna 147
Portogallo 35
Grecia 265
Ex Yugoslavia 75
Inghilterra 279
Benelux 130
Scandinavia 190
Ungheria 14
Bulgaria 56
Romania 36
Polonia 112
Repubblica Ceca 40
Repubblica Slovacca 8
Austria 15


Che fanno un totale di 2112 tra intercettori, caccia leggeri e caccia-bombardieri.
E', praticamente, la stessa consistenza numerica dell'USAF.
Certo, non altrettanto moderni, ma si tratta comunque di circa duemila macchine.
Facciamo gli stessi conticini  per i nostri vicini, sia geografici che geopolitici.
La Russia schiera 1525 caccia (moderni, niente Mig 21-23) e quasi 200 bombardieri nucleari.
Ovviamente, questa forza aerea è sparsa sull'immenso territorio nazionale, non dobbiamo immaginarci che siano tutti puntati contro di noi.
La Turchia dispone di 485 aerei, l'Iran di 500, la Siria di 782 mentre proprio i dirimpettai Algerini schierano 153 aerei, inclusi una quarantina di modernissimi supercaccia russi SU-30.
L'Egitto dei fratelli musulmani si ferma a 465 aerei, mentre al momento l'aviazione libica è al lumicino.
L'ex-colonia del Bel Paese è arrivata a schierare ben 600 caccia sovietici (e qualcuno francese) negli anni '80, con una piccola forza di bombardieri.
Ricordiamo che la Libia ha lanciato due IRBM contro l'Italia negli anni '80.
Nota di colore: tra i più tenaci oppositori del programma F-35 si contano anche coloro che vorrebbero imporre una No flight zone a protezione di Gaza da Israele. 
Beh, dovrebbero ricordarsi che gli israeliani dispongono di 730 caccia per cui servirebbero tanti tanti tanti aereoplani per realizzare i loro desideri.
Diamo, quindi, ai lettori, un termine di paragone.
Una delle zone più 'calde' del pianeta è la penisola di Corea.
La Corea del Nord schiera qualcosa come 660 aerei, di cui solo 40 Mig-29 realmente utilizzabili, gli altri sono poco più che rottami.
I sudcoreani di aerei ne hanno pochi di meno, ma quasi tutti moderni.
Nel 'pacifico' Mediterraneo, invece, i caccia si contano a migliaia.
Può darsi che mi sbagli, ma, per come sono andate le primavere arabe, venti di disarmo proprio da queste parti non ne soffiano e non ne soffieranno per un bel pezzo
Cosa significa, quindi (e voi direte: "finalmente!") una difesa europea?
Beh, prima di tutto si tratta di un problema politico gigantesco che non ritengo possa essere risolto a breve salvo eventi di forza maggiore. Non me li vedo i francesi a cedere sovranità, ma nemmeno gli inglesi o gli svedesi, se è per questo.
Gli italiani la sovranità non la vogliono quindi ... Quindi siamo dannati a comprare da schiavi gli F-35 americani o, se non li compreremo, a sottometterci ancora di più alla 'protezione' dello Zio Sam.
Però l'idea è buona, anzi, più che buona: necessaria.
Necessaria per poter garantire sicurezza e 'peso' politico a quella che, tutto sommato, rappresenta una delle più avanzate invenzioni sociali e politiche della storia umana: l'elenco dei paesi extra UE in cui è meglio vivere rispetto a quelli dell'UE non è poi lunghissimo.
Diamo, quindi, uno sguardo alla cartina:




Unificare la difesa aerea dei paesi dell'Unione implica, ipso facto, una razionalizzazione di costi e risorse: Gran Bretagna, Francia settentrionale, Benelux, Germania e Danimarca potrebbero, ragionevolmente, essere difesi da pochissimi aerei mentre il nerbo delle forze dovrebbe essere concentrato tra Spagna, Italia e Grecia con uno schieramento secondario tra Finlandia Polonia e Romania.
La standardizzazione dei meccanismi logistici e di addestramento potrebbe consentire di mantenere lo stesso numero di aerei con minor spesa, o, in alternativa, lo stesso livello di sicurezza (meno aerei ma schierati lì dove servono) con un drastico calo delle spese militari complessive.
Anche semplicemente con una integrazione a livello operativo, quindi spostando le unità lì dove servono, consentirebbe un incremento del livello di sicurezza ed un innalzamento della credibilità internazionale dell'Unione Europea:
Erdogan può tranquillamente permettersi di 'non riconoscere il Parlamento Europeo', infatti quest'ultimo dispone di 0 aerei, la Turchia di 485...
Insomma, l'idea è buona.
Ma quanto è fattibile?
Io credo sia un problema più politico che altro.
Certo, resta il macigno dell'unificazione degli apparati industriali: i francesi sono notoriamente allergici ai programmi europei quali Tornado ed Eurofighter, per non parlare delle feroci lotte per definire le gerarchie di questa teorica European Union Air Force.
Da un punto di vista strettamente pratico le cose non dovrebbero essere troppo complicate: il personale delle varie aviazioni europee parla correttamente l'Inglese e le procedura di volo, operative e di manutenzione sono quelle standard NATO.
Tutta da scoprire, poi, la volontà europeista anche dal punto di vista militare e non solo da quello dell'Erasmus dei popoli europei.
Mi piacerebbe, poi, chiedere a Civati di precisare nel concreto, con la consueta progettualità pragmatica che contraddistingue le sue dichiarazioni, come affrontare il tema della sicurezza del Bel Paese.
Tuttavia, per ora, resta solo un'utopia.
Mentre le centinaia di caccia dei nostri dirimpettai sono una concreta realtà.
L'argomento non può certamente essere esaurito qui, vi do appuntamento per una seconda parte, prima o poi...












23 giugno 2013

Non è tutt'oro il Linux che luccica

Da qualche settimana ho iniziato a studiare certi aspetti un po' più tecnici del mio beneamato universo GNU/Linux.
Quindi, tra macchine virtuali ed installazioni fisiche sul notebook utilizzando un vecchio HD mi sto addentrando nel mondo di Arch Linux e Gentoo.
Insomma, mi interessa capire i processi 'da sotto'.
Quindi il mio Notebook HP 6540b è diventato, de facto, una macchina di test.
Dato che ho sufficientemente smanettato con la mia copia Technet di Windows 8 mi sono detto: togliamo di mezzo Windows  dal Desktop e sostituiamolo con una distro 'stabile', insomma, serve anche a me una macchina da 'produzione' e non da test.
Dato che Mint15 ha funzionato alla perfezione sul mio HP Probook 6540b come già recensito qui, ho pensato di schiaffarlo sopra il mio autocostruito Core i7 (di prima generazione, eh, viaggia per i 5 anni).
E feci male.
Sono incappato in un raro ed, al momento, senza workaround bug che mi impedisce di accedere  convenientemente via LAN al mio server su cui conservo i dati.
Per non parlare dei capricci di wuala che non ne vuol sapere di partire una volta su due.
Per non parlare dei continui blocchi di caja senza alcuna traccia in /var/log ecc.
Insomma, il Mint15 che funziona una meraviglia sul laptop non ne ha voluto sapere di girare decentemente su un desktop dotato di componenti collaudate.
Vabbè.
Proviamo con Debian 7.1.
"Firmware mancante".
Per una scheda di rete di 5 anni fa?
Vabbè, clikkete clikkete e risolviamo anche questa.
E al riavvio ...
Niente Gnome 3.
E nemmeno il doppio monitor!
Ok, con calma risolviamo, nel frattempo iniziamo a reimportare i dati dallo share di rete ...
Eccome sarebbe a dire a 3 MB/sec?
Su connessione Gigabit fatta da 2 macchine?
(Il vituperato windows 8 volava sui 40 di media con punte di 70 80)
E poi, dulcis in fundo, k3b che non ne vuol proprio sapere di masterizzarmi i blue ray (con Mint funzionava).
Quindi?
Quindi Ubuntu 13.04.
Doppio monitor out of the box, la LAN è tornata a funzionare decentemente e sono tornato in possesso del mio hardware.
Lo so, l'incompatibilità è colpa dei drivers proprietari e poi non tutte le ciambelle riescono col buco, quindi: niente panico e pazienza.
Tanta.

20 giugno 2013

Il Signore degli Orfani

Il regime NordCoreano è grottescamente comico agli occhi dei fortunati abitanti del resto del mondo.
Ci fanno ridere le pose fotografiche dei vari Kim, la retorica dei manifesti, l’isteria della popolazione adorante nei video di propaganda, le millanterie di un paese che non ha la corrente elettrica e vorrebbe spazzar via gli yankees dal cielo, in cui i Nordcoreani annaspano come tacchini sui loro decrepiti Mig 21, 23 e rotti.
E’ spassoso immaginare un’armata di due milioni di straccioni, equipaggiata sì e no per la Seconda Guerra mondiale andare all’assalto della fortificata zona smilitarizzata presidiata dall’Esercito Sudcoreano, tra i più avanzati e motivati al mondo.
Immaginare uova fresche che assaltano con impeto rivoluzionario un muro di cemento.
Certo, dopotutto se un minimo ne capisci passi dalla risata a crepapelle al sorriso nervoso nel momento in cui realizzi che Seoul, la gigantesca metropoli capitale della Corea del Sud, è a portata dell’artiglieria nordista, il che implicherebbe un sacco di vittime nel tempo necessario alla neutralizzazione della minaccia.
Ma tant’è, la Corea del Nord non è, di per se, una vera minaccia.
E’ più uno spettacolino vivente, una satira di se stessa, un Paese di cui è difficile non ridere.
Oramai, sul web abbondano blog densi di battute al fulmicotone sul disgraziato regime Nordcoreano:
Ecco il Caro Leader inaugurare l’aeroporto di Pyongyang da cui si innalzeranno scintillanti aviogetti che percorreranno quotidianamente la tratta Pyongyang - Pyongyang”.
E così via.
Già, ridere o non ridere.
Io, non ne rido più.
Dopo aver letto ‘per mano nel buio’ il sorriso mi si è spento.
E adesso che ho terminato di leggere ‘Il Signore degli Orfani’ non credo che riderò più neppure delle più argute battute.
Spero tanto che Adam Johnson abbia esagerato.
Spero che la Corea del Nord descritta in quelle pagine sia il classico esempio di ‘becera propaganda capitalista.
Ma il cuore mi dice che così non è.
Le testimonianza, se te le vai a cercare, sono concordi.
Il regime della Corea del Nord è un po’ peggio di quello rappresentato nel romanzo di George Orwell “1984”.
Ogni casa è dotata di un altoparlante, sempre acceso, che trasmette i comunicati del Caro Leader.
Oggi.
Giugno 2013.
Quando il protagonista trova, per la prima volta in vita sua, un elenco telefonico americano, trova la cosa sconvolgente.
Che tante persone abbiano un telefono, una casa, siano liberamente rintracciabili, note ognuna all’altra.
E in Corea del Nord?
Con raccapriccio, tempo dopo, il protagonista si rende conto che la raccolta delle fotografie in ingresso (da vivi) ed in uscita (solo da morti) dai campi di lavoro sono la cosa più simile agli elenchi telefonici che la Corea del Nord abbia mai avuto.
“Vuoi sapere il sapore della fame?”
E’ quello dei petali di fiori.
I fiori che i cittadini di Pyongyang  rubano dai giardini del Caro Leader, perchè null’altro di commestibile è rimasto loro.
Il meccanismo del potere implacabile della dittatura rende possibile ai cittadini della Corea del Nord di avere un solo unico amico: Il Caro Leader.
Infatti, nella Corea del Nord non si nasce, si viene creati.
Dalla volontà del Caro Leader.
Non starò qui a compilare la lista delle atrocità.
Ma a ricordare a tutti noi che i campi di sterminio esistono, a poche centinai di Km da dove si fabbricano i Samsung Galaxy e le scintillanti Hyunday.
Una intera nazione di disadattati al XXI secolo, ignoranti del mondo che li circonda, schiavi di qualcosa che noi possiamo solo intravedere più che immaginare.
“Il Signore degli Orfani” è un romanzo struggente, pieno di amore e lacrime.
Spiega l’irragionevole, perchè la Corea del Nord è irragionevole, impossibile, inspiegabile.
Una Nazione coi Campi.
Oggi.

Adesso.

16 giugno 2013

Il Muro di Gomma

Complice la noia di un pomeriggio domenicale ho rivisto il film di Dino Risi "Il muro di gomma".
Lo rivedo con prudenza.
Con dolore.
Io c'ero e mi formavo una 'coscienza civile e politica' in quegli anni.
Andai a vederlo al cinema, "Il muro di gomma", in un semivuoto cinema Duni.
Un secolo fa.
Non intendo fare qui il risassunto della vicenda della Strage di Ustica.
Anche se la voce è ritenuta 'non neutrale' suggerisco comunque di dare uno sguardo alla relativa pagina di Wikipedia (e se masticate l'inglese suggerisco vivamente la versione nella lingua d'Albione, è meno controversa).
Ma una riflessione ed una memoria.
Il caso Ustica mi sconvolge.
Qualcuno ti ammazza (la vulgata dice con un missile, le perizie con una bomba) e nessuno può sapere chi o il perchè.
Penso alle persone che sono andate avanti praticamente per tutta la mia vita nell'ignoranza di cosa sia successo ai loro cari o nell'ansia di aver assistito all'inenarrabile senza poterlo confessare.
Ed io so che non lo sapremo mai.
Chi?
Come?
Non oso nemmeno pensare al perchè.
Dal sofisticato complotto internazionale, al terrorismo palestinese, al banale incidente, alla bravata di un pilota come al Cermis.
Come per il G8 di Genova, sento il legame stretto tra le nostre sofferenze malteriali ed economiche e questa tragedia.
Uno Stato che fa o è complice omertoso di queste cose non può, conseguentemente, assicurare prosperità e giustizia ai suoi cittadini.
Con l'obrobrio di sentenze penali che dicono una cosa e sentenze civili che ne dicono un'altra.
La Verità rende senz'altro liberi, ma anche prosperi.
E dietro questo muro di gomma penso possa esistere un Paese normale.
Purtroppo, siamo imprigionati dal lato sbagliato...





15 giugno 2013

War Sport: l'ignoranza degli italiani vs l'arroganza degli italiani (nel mondo reale)

La Politica Estera non è nelle corde degli italiani.
Non glie ne può fregare di meno, in fondo al cuore. Per un Italiano, la Politica Estera è un proseguimento con altri mezzi della lotta per bande che, da queste parti, passa per Politica Interna.
Nel corso del tempo ho assistito alla proliferazione di vari movimenti pacifinti che hanno difeso Saddam Hussein, Gheddafi, Noriega, Milosevic, ultimamente, con mio raccapriccio, pure il 'caro rispettato leader' Kim Jong Un e la teocrazia iraniana (per tacere del silenzio assordante sulle stragi siriane).
Ma fin qui, ci sta: dopotutto, superficialmente, il motto nazionale in questo genere di cose, fino almeno alla caduta del Muro di Berlino è sempre stato il noto: 


"Francia o Spagna, purché se magna".

Purtroppo, l'imbarbarimento delle italiche genti ha portato anche l'incapacità di adottare, nei fatti, il suddetto efficacissimo motto.

La posizione geopolitica dell'Italia è gravemente peggiorata negli ultimi anni.
La sponda Sud del Mediterraneo è praticamente in fiamme ed i nostri cugini in prima linea, Spagna e Grecia, non se la stanno passando troppo bene, come noi, del resto.
Ma la domanda retorica del pubblico, sugli F-35, per esempio, resta: "Ma chi volete che ci attacchi?" Come se l'Italia fosse al posto della Danimarca, circondata da paesi stabili ed omogenei.
Come se le guerre mediterranee degli ultimi due lustri siano capitate tra Nuova Zelanda ed Antartide.
Per la cronaca, come la penso sugli F-35 l'ho già scritto qui.
Per non parlare del bispensiero in perfetto stile berlusconiano che affligge la Sinistra da lustri:rendersi indipendenti dagli USA senza sostituire l'ombrello militare americano con uno nazionale.
Surreale, poi, il 'dibattito' sull'Afghanistan, in cui si sentono affermazioni del calibro "La Terra è piatta", coi Taliban confusi coi Mujahidin e con il Pakistan completamente ignorato  nel suo ruolo, probabilmente a causa del perdurante mito del 'buon selvaggio': una potenza nucleare di 180 milioni di abitanti NON può essere uno stato indipendente, devono per forza essere tutti quanti burattini della CIA, no?
E non mi si ripeta la favoletta del disarmo come incipit dell'età dell'oro: il disarmo è qualcosa che funziona solo in circostanze specifiche: ve l'immaginate, voi, il Belgio che invade il Lussemburgo? 
No, certo.
E la Corea del Nord che lancia due granate su Seoul? 
Non credo che il disarmo sia un'opzione per i sudcoreani, magari lo è per i lussenburghesi...
La vocazione al martirio, cari ragazzi, è personale. 
Se ritenete che la non violenza funzioni anche con Hamas (ed è stato piuttosto complicato e lungo farla funzionare con gli inglesi della seconda metà del XX secolo ) sono fatti vostri.
Io, invece, non mi sento al sicuro con casa mia a portata di MiG (o copia cinese) nelle mani dei Fratelli Musulmani, Assad, clan libici ed altri figli dell'imminente inverno arabo.
Preferirei che fosse l'AMI (possibilmente con una forza un po' superiore a quella di quattro aquiloni) e non l'USAF a fare il lavoro  ma bisogna saper fare di necessità virtù.
A suo tempo, ho trovato 'francamente sconcertante' la passeggiata di D'Alema sottobraccio con un bel tomo di Hezbollah, organizzazione oggi allegramente impegnata nel fronte pro Assad nel massacrare il Popolo Siriano.
Ma, almeno, quella passeggiata aveva un senso pratico in piena continuità con la tradizionale politica andreottian democristiana dei passati 40 anni: noi italiani non vi rompiamo le palle e voi gli attentati li andate a fare da un'altra parte.
Invece, ultimamente, si è persa anche la capacità di seguire l'istinto di conservazione, superando anche la tradizione calcistica dell'unico Paese al mondo con 60 milioni di commissari tecnici (meno me).
Insomma, quando si parla di F-35, di ritiro dall'Afghanistan, di basi NATO, di Palestina, di Libia, Siria, di Pace, di un Mondo Migliore, di Geopolitica, bisogna saperle, le cose.
Si deve saper distinguere un M1 da un T55, un SU-27 da un Hercules, capire l'importanza di una diga come quella in costruzione in Etiopia sul Nilo nei rapporti tra gli stati interessati, comprendere che un caccia leggero non è un bombardiere strategico, che un sottomarino lanciamissili serve ad uno scopo diverso da un sommergibile, distinguere tra l'ISI e la CIA, tra Mujahidin e Taliban, tra marines e guardie forestali.
Ecco perchè io non dico nulla, in proposito. 
Perchè non sono sufficientemente informato per nutrire granitiche certezze.
E, poi, mica io siedo in Parlamento.
Quindi, attendo.
Attendo che chi vuole il ritiro dall'Afghanistan spieghi come intende gestirne le implicazioni pratiche (dalla costituzione di una base per le cellule jihadiste alle lapidazioni ecc.).
Attendo che chi non vuole comprare gli F-35 spieghi come mantenere le capacità operative dell'AMI (e magari che spieghi anche come usare gli stessi soldi per fare da moltiplicatore per economia e tecnologia avanzata e non per stipendi per pubblici dipendenti, tanto per non fare business as usual).
Ecco, francamente quando sento i vari "Senza Se e senza Ma" senza alcuna proposta consequenziale mi viene in mente Berlusconi che parla di Libertà e Giustizia.
"Se e Ma": sono cose di tutti i giorni.
Fate voi.
Io non voterò mai (e non sarò mai membro di ) un partito che non sia in grado di  dare una risposta a queste domande e che non abbia una Politica Estera coerente con gli interessi nazionali.
In breve: no agli F-35 MA?
Ci ritiriamo dall'Afghanistan MA?
Rispondere, prego.
O tacere.
Le parole ad cazzum in questi campi ammazzano gente.

PS: no: non esistono molti paesi peggiori dell'Iran in cui vivere, soprattutto per le donne.

9 giugno 2013

L'impianto giusto al posto sbagliato: NO all'Eolico SUI SASSI di Matera!

EDIT del 19 Giugno 2013:

una puntuale e precisa inchiesta giornalistica che potete reperire qui ha dimostrato che l'impatto visivo dai Sassi è praticamente nullo.
Resta da capire per quale motivo si sia 'spacciato' tale impatto visivo al grande pubblico come devastante.
Niente megaimpianto in vista Sassi, pare...
Sono fortemente perplesso.


Non trovo nulla di brutto in una pala eolica.
Una pala eolica ha una sua forma ed un suo ingombro che non sono affatto naturali.
Ogni pala eolica (o impianto fotovoltaico NON installato su terreno agricolo) è, però, ben più di una fonte di energia: è salvaguardia della vita.
Questi impianti producono preziosissima energia pulita, proveniente direttamente dal Sole (anche il vento, indirettamente, è un effetto dell'energia solare) e immediatamente utilizzabile dai produttori.
Ogni pala eolica preserva miglia di ambiente naturale,
Ovviamente, l'italico senso per usare nel modo peggiore le cose migliori ha portato a meccanismi normativi abnormi e all'incentivo, de facto, dei mega impianti.
Quindi, abbiamo assistito all'obbrobrio di suoli agricoli stuprati da impianti fotovoltaici che sarebbero stati molto più utili ed ecologici se posizionati sugli edifici, sia per poter garantire l'autoconsumo sia per evitare lo spreco di ulteriore suolo agricolo nel paese del cemento per antonomasia.
Così, mentre da un lato il settore delle energie rinnovabili è stato completamente massacrato dai recenti interventi legislativi pro-petrolieri, con grave danno per ambiente, tasche degli italiani ed occupazione di ingegneri e tecnici specializzati, dall'altro è recentissima la notizia dell'autorizzazione concessa dalla giunta balneare di Basilicata per la costruzione in vista Sassi di un megaimpianto eolico.
Non è questione di decidere se la Basilicata sia o meno satolla di zone semi deserte in cui sistemare impianti eolici: quando vado sul Pollino gli impianti eolici che incontro vicino Valsinni non mi sembrano affatto deturpanti.
Anzi, mentre avanzo verso le mie amate cime, quell'impianto eolico mi sembra un bastione, una fortezza della conservazione ambientale.
Quelle gigantesche pale mi sembrano le lame di un guerriero che si oppone all'avvelenamento da CO2, all'anidride solforosa, alle polveri sottili!
Ma posizionare un impianto eolico in vista Sassi...
Matera è una delle città più antiche del mondo, con un paesaggio immutato da millenni.
Ed ora?
Si vuole posizionare un megaimpianto Eolico in vista Sassi di Matera?
Ogni tanto, preso dall sconforto causato dalla palese incapacità della Comunità Materana di ottenere prosperità e pace dallo splendido scenario dei Sassi e della Murgia, dico tra me: "massì, tanto vale colmare la Gravina di cemento e farci un bel parcheggio, sempre meglio di adesso!"
Non avrei mai pensato di essere superato in efficacia devastatrice dalla giunta balneare di Basilicata...
Gli impianti di energia rinnovabile devono essere posizionati dove sono più utili (cioè quasi ovunque) e non dove sono devastanti, come si progetta in questo caso.
E' necessario opporsi.
E opporsi.
E opporsi.
E, magari, vincere: microeolico ovunque, skyline di Matera 2019 = Matera - 2019





La mela di Newton e la latrina.

Ultimamente, le latrine non vanno più di gran moda.
Sono sempre meno i reparti che si giovano di questo utilissimo strumento educativo nonchè di indispensabile conforto.
Abbondano i reparti che usano i bagni di vicine strutture o, cosa peggiore di tutte, usano il bosco 'liberamente' cospargendo di fazzolettini mal sepolti il circondario...
Costruire una latrina... 
Dunque, il come ed il dove non sono una faccenda difficile:
iniziamo dal dove: una cinquantina di passi a valle della fonte d'acqua (e anche del resto del campo), con un po' di fortuna vi riuscirà di piazzarle sottovento.
Per il come ancora più semplice: serve solo olio di gomito e la capacità di fare qualche legatura quadrata solida: si scava un bel buco nel terreno, non troppo profondo perchè da un lato gli strati inferiori del terreno sono meno in grado di "digerire" la cacca, dall'altro non vogliamo un buco maleodorante in cui è pure rischioso cadere.
Si costruisce una solida, ripeto, solida (non vogliamo tirar fuori qualcuno caduto dentro la latrina) struttura di sostegno su cui appoggiarsi.
Si costruisce attorno un quadrilatero avvolto da un telone per la dovuta privacy.
Ed è fatta.
Meglio non usare calce viva per coprire la cacca, dopo aver compiuto l'atto.
E' igienico, ma poco ecologico: la terra è quasi altrettanto igienica e completamente ecologica.
Quando la fossa si riempie si riscava un altro buco un paio di metri più a valle e si sposta tutta la struttura.
Ammetto che questa non è proprio una cosa molto "stimolante".
Ecco, la cosa interessante di cui vorrei parlare è il 'perchè'
Perchè far costruire le latrine a dei giovanotti del XXI secolo?
Distinguiamo i motivi materiali da quelli educativi.
Per prima cosa, la sicurezza.
"Dove sono Gino e Pina?" "Sono al bagno!"
Ok, ma dove? Dietro l'albero laggiù o  a duecento metri nel folto del bosco? 
Magari neppure tanto a portata di voce ...
Non è bene che durante la giornata i ragazzi possano sparire per motivi anche legittimi al di fuori del controllo dei capi. 
Figuriamoci la notte.
Per non parlare dei più piccoli che preferiscono tenersela piuttosto che avventurarsi da soli nel bosco nel cuore della notte.
No, le latrine sono indispensabili per la sicurezza dei ragazzi.
C'è, tra i fautori delle latrine, una corrente (spero minoritaria) che vede in questo impianto igienico un ottimo strumento di stimolo alla puntualità ed un perfetto coadiuvante alla disciplina, ma le frasi tipo "La squadriglia che arriva ultima pulisce le latrine" la lasciamo tranquillamente agli eserciti perdenti in cui è tollerato il nonnismo, non è roba da scoutismo.
Il fatto è che le latrine sono un elemento indispensabile per la funzionalità di un campo scout.
Come la tenda, la cambusa, il tavolo, la fontana, la cucina ed il cerchio del fuoco.
Certo, è un elemento facilmente surrogabile, basta una passeggiata nel bosco.
E non sono di quelli che dicono:" A questo punto finiremo per abolire la cucina a legna sostituendola col catering e poi le tende con i bungalow e poi..."
No.
Io penso semplicemente che la latrina faccia parte della catena della vita.
E che sia diseducativo consentire ai ragazzi di ignorare questo dato di fatto.
Prendersi cura della latrina è un atto politico.
Dovrebbe essere reso evidente, sin da piccoli, che ci sono delle conseguenze, anche alla pastasciutta.
Che ci sono delle cosucce scomode, puzzolenti, faticose, collegate a tutte le cose belle e divertenti della vita.
E che la latrina fa parte del campo come tutte le altre costruzioni.
L'Italia è satolla di politici ed elettori, opinionisti e sedicenti esperti completamente refrattari al concetto di conseguenze incapaci anche di prevedere l'ovvia caduta della proverbiale mela di Newton.
Non abbiamo bisogno di aumentarne il carico