15 giugno 2009

La Bellezza e L'Inferno: siamo tutti coinvolti.

Ho acquistato il libro per solidarietà a Roberto Saviano. Generalmente, non sono attratto dalle raccolte di articoli giornalistici. Quindi, ho preso il libro con l'intenzione di porlo direttamente accanto a Gomorra e lì lasciarlo. Mi son detto: leggiamo almeno l'introduzione... E invece...
Pagina dopo pagina sono arrivato fino in fondo in una sola domenica di mare...
Gli articoli di Roberto non sono pezzi di cronaca, ma veri e prorpi minisaggi indipendenti in cui con poche righe l'argomento viene affrontato organicamente, dimostrando che, se la camorra assedia tutti gli aspetti della società, è in tutti gli aspetti della società che va combattuta, dallo spettacolo allo sport, dalla musica al teatro.
Passando per eventi ed incontri di cui le parole di Roberto hanno, per me, un sapore di testimonianza Cristiana prima di ogni altro punto di vista.
Perchè, purtroppo, la coerenza tra la fede praticata e i comportamenti reali, tende ormai a zero. L'andare a messa tutte le domeniche quanto ti rende cattolico se, pubblicamente, esalti il Papy e le ronde, la mercificazione del corpo della donna, l'adulterio istituzionalizzato, i respingimenti dei migranti in Libia e chi più ne ha più ne metta? Gli italiani si sono assuefatti a non scandalizzarsi più delle menzogne evidenti negate il minuto dopo che sono state pronunciate. Infatti, come diceva Mario Silvestri:" Il fascismo è la menzogna che crede di essere Verità ". Ma, se Papy può anche permettersi il comportamento che adotta, tanto i suoi corrispondenti sono quello che sono ( gli elettori italiani ), ben più rischioso è imitare il suo esempio nella lotta alla criminalità che avvelena l'intera Comunità. Perchè la Camorra, la Mafia e compagnia bella nascono anche dall'incosciente capacità di dire una cosa e poi contemporaneamente negarla senza turbamento alcuno. Germinano nel parcheggiare in doppia fila anche se i parcheggi liberi sono due posti più in la. Si rafforzano nella debolezza dell'impegno civile.
Libro bellissimo, indipendente da gomorra, vale la pena di possederlo e leggerlo.
Ma, soprattutto, vale la pena rendersi conto che il fatto di vivere a Matera, non ci rende immuni da quanto capita a due passi da casa nostra.

9 giugno 2009

La bellezza e l'inferno: la Verità Esiste

Scrivere, in questi anni, mi ha dato la possibilità di esistere e se qualcuno ha sperato che vivere in una situazione difficilissima potesse indurmi a nascondere le mie parole, ha sbagliato. Ho scritto in una decina di case diverse. Tutte piccolissime e buie. Le avrei volute più spaziose, luminose, ma nessuno me le fittava.
Non potevo girare per cercarle e nemmeno decidere da solo dove abitare. E se diventava noto che io stavo in quella via ero subito costretto a traslocare. E' la situazione di molti che vivono nelle mie condizioni. Ti presenti a vedere l'appartamento che con fatica i carabinieri hanno selezionato, ma appena il proprietario ti riconosce, la risposta è sempre la stessa: "La stimo moltissimo, dottore, ma ho già molti problemi. Capisce, qui la gente ha paura". Però accanto a questa paura, copertura vile per non voler essere ascritti a una parte - alla mia - , ci sono stati anche i gesti di molti che non conoscevo, che mi hanno offerto un rifugio, una stanza, amicizia, calore. E anche se spesso non ho potuto accettare le loro proposte, ho scritto pure in quei luoghi ospitali e colmi di affetto.
Molte delle pagine riunite in questo libro non le ho nemmeno scritte in una casa, ma in camere d'albergo. Buie, senza finestre da poter aprire, senza aria. All'estero è capitato anche che non vedessi nient'altro che quelle camere e il profilo della città dietro i vetri oscurati di una macchina blindata. Non si fidavano a lasciarmi uscire e spesso non si fidano nemmeno a lasciarmi nello stesso albergo per più di una notte. Più la criminalità e le mafie sembrano lontane, più ti trattano come qualcosa che potrebbe esplodergli sotto gli occhi. Con dei guanti che non sai se sono da cerimonia o da artificieri. E tu non capisci se sei più un pacchetto regalo o un pacco-bomba.
Più spesso ancora ho scritto in caserma. Nel ventre quasi vuoto e immobile di una grande, vecchia balena fatta per operare. Mentre fuori intuisci movimento, c'è il sole, è già estate. Sai che se potessi uscire, in due minuti passeresti davanti alla tua vecchia casa, la prima dove ti dissero "Finalmente te ne stai andando!", e in altri cinque saresti al mare. Ma non puoi farlo.
Però puoi scrivere. Devi e vuoi continuare. Il cinismo che contraddistingue molta parte degli addetti ai lavori lascia intravedere sempre una sorta di diffidenza per tutto quello che non ha uno scopo preciso. O il distacco di chi vuole solo fare un buon libro, limare le parole sino a ottenere uno stile bello e riconoscibile. E' questo ciò che deve fare uno scrittore? Questa è letteratura? Allora, per quanto mi riguarda, preferirei non scrivere.

Il bisogno di distruggere tutto ciò che possa essere desiderio e voglia: questo è il cinismo. E' l'armatura dei disperati che non sanno di esserlo. Che vedono tutto come una manovra furba per arricchirsi, la pretesa di cambiare come un'ingenuità da apprendisti stregoni e la scrittura che vuole arrivare a molti come una forma di impostura da piazzisti. Nulla può essere tolto a questi signori diffidenti e perennemente con il ghigno di chi sa già che tutto finirà male, perché non hanno più nulla per cui valga la pena di lottare. Ma nel privilegio delle loro vite disilluse e protette, non hanno idea di che cosa possa veramente voler dire scrivere.
Scrivere è il contrario di tutto questo. E' riuscire a iscrivere una parola nel mondo, passarla a qualcuno come un biglietto con un'informazione clandestina, uno di quelli che devi leggere, mandare a memoria e poi distruggere: appallottolandolo, mischiandolo con la tua saliva, facendolo macerare nel tuo stomaco. Scrivere è fare resistenza.
La mia vicenda di questi anni mi ha permesso di incontrare molte persone che non potrò mai dimenticare. Mi ha dato la possibilità di trovarmi con Enzo Biagi, di capire che quell'uomo anziano aveva ancora tanta voglia di interrogarsi e di capire il mondo.
E poi Miriam Makeba, la grande "Mama Africa", la voce che cantava la libertà di un continente e invece è morta a Castel Volturno, dopo un concerto per ricordare sei fratelli uccisi dalla camorra e per esprimere la sua vicinanza a me, che non aveva mai incontrato, bersaglio di un nemico di cui lei non conosceva nemmeno il nome.
Nello stadio del Barcellona ero scortato dai Mossos, i corpi speciali della polizia catalana che volevano portarmi a vedere la partita circondato da un cubo di vetro antiproiettile e che poi, mossi a compassione, mi hanno risparmiato quel nuovo tipo grottesco di prigione. Lì ho incontrato Lionel Messi, l'attaccante argentino del Barça, che è riuscito a rifare, identico, il gol più bello di Diego Armando Maradona. Faccia da bimbo che non dice nulla delle sofferenze che ha patito, delle cure dolorose che gli hanno permesso di crescere e divenire il più grande giocatore dei nostri giorni.

A volte però mi trovo a guardare indietro. E allora so a chi questo libro non è destinato. Non va a tutte quelle persone con cui sono cresciuto, che si sono accontentate di galleggiare, di tirare a campare in giorni tutti uguali. Non va ai rassegnati, fermi a scambiarsi le fidanzate, scegliendo tra chi è rimasto spaiato come le scarpe dentro scatole impolverate. A chi crede che per diventare adulti bisogna caricarsi in groppa i fallimenti di un altro, piuttosto che rilanciarsi insieme in una sfida. Io non scrivo mandando lettere verso un passato che non posso né voglio più raggiungere. Perché se guardo indietro so che rischio di finire come la moglie di Lot, trasformata in statua di sale mentre guardava la distruzione delle città di Sodoma e Gomorra. E' questo quel che fa il dolore quando non ha nessuno sbocco: ti pietrifica. Come se i tuoi pianti, a contatto col tuo rancore, si rapprendessero in tanti cristalli divenendo una trappola mortale. Allora, quando mi guardo indietro, l'unica cosa in cui mi riconosco sono le mie parole.
Questo libro va a chi ha reso possibile che Gomorra divenisse un testo pericoloso per certi poteri che hanno bisogno di silenzio e ombra. A chi ha assimilato le sue parole, a chi si è ritrovato nelle piazze per leggerne delle pagine, testimoniando che la mia vicenda e le mie parole erano diventate di tutti. Senza di loro non ce l'avrei fatta a continuare a esistere pensando a un futuro. Sapendo che la mia vita blindata era comunque una vita. Senza i miei lettori non avrei mai avuto le prime pagine dei giornali, le telecamere in prima serata. Devo a loro se ho compreso l'importanza del confronto con i media. Quando dietro non ci sono il vuoto, la trama di finzioni che non fanno altro che distrarre e consolare, ma ci sono la voglia e il desiderio di tanti di sapere e di cambiare, perché non possono essere usati tutti i mezzi di comunicazione possibili per unificare le forze? Perché averne tanto sospetto o paura?
Paura. In tutte le interviste, in tutti i Paesi dove il mio libro è stato pubblicato, mi chiedono sempre se io non abbia paura che mi possano ammazzare. "No" rispondo subito, e lì mi fermo. Poi mi capita di pensare che chissà quanti non mi crederanno. Invece è così. Perché la peggiore delle mie paure, quella che mi assilla di continuo, è che riescano a diffamarmi, a distruggere la mia credibilità, a infangare ciò per cui mi sono speso e ho pagato. Lo hanno fatto con chiunque abbia raccontato e denunciato.
C'è una frase di Truman Capote, vera e terribile: "Si versano più lacrime per le preghiere esaudite che per quelle non accolte". Se ho avuto un sogno, è stato quello di dimostrare che la parola letteraria può ancora avere il potere di cambiare la realtà. La mia "preghiera", grazie ai miei lettori, è stata esaudita, ma sono anche divenuto altro da quel che avevo immaginato. E questo è stato difficile da accettare, finché non ho capito che nessuno sceglie il suo destino. Però può sempre scegliere la maniera in cui starci dentro. E per quanto mi riesca, voglio provare a fare il mio lavoro nel migliore dei modi, senza sconti e semplificazioni, perché è questo ciò che sento di dovere a tutti coloro che mi hanno sostenuto.
Il titolo di questo libro vuole ricordare che da un lato esistono la libertà e la bellezza necessarie per chi scrive e per chi vive, dall'altro esiste la loro negazione: l'inferno che sembra continuamente prevalere. Ad Albert Camus appartiene una piccola frase apparentemente senza peso. Per me, invece, ne ha molto perché mi ricorda quanto Giovanni Falcone diceva a proposito della mafia e del suo essere un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani delimitato da un inizio e da una fine. Ecco allora quel che scrisse Camus: "L'inferno ha un tempo solo, la vita un giorno ricomincia".

E' quello che credo, spero, voglio e desidero anch'io.

© 2004-2009 by Roberto Saviano
Published by arrangement with Roberto Santachiara
Agenzia Letteraria
© 2009 Arnoldo Mondadori Editore S. p. A., Milano.

4 giugno 2009

Il Vento - Litfiba: Piazza Tienammen, 20 anni fa

L' orizzonte e' nello specchio
l' orizzonte e' dentro me
ho distrutto tutto il tempo
perche' il tempo e' solo mio
cielo basso sui capelli
l' orizzonte e' dentro me
ho scolpito sulla pelle
che chi piange ridera'.
Sono libero, come il vento sono libero
Questo mostro ha cento occhi
cento occhi come spie
ma quei bastardi ridono
mi hanno tolto mani, bocca e occhi,
occhi... occhi, occhi... occhi, occhi...
occhi, occhi...
Sono il vento, sono libero come il vento,
senza fine ah ah ah
sono libero, sono libero
Con il cuore in quella piazza
tiene a mente Tienammen
la morte la porta la liberta' e la violenza perdera'
e ogni gabbia uccide un uomo ma la rabbia fa' resistere
e ha scolpito sulla pelle che chi piange ridera'.
Sono il vento, sono libero come il vento, senza fine
sono il vento, sono libero come il vento, seno libero ah ah ah.

Rispetta la mia scelta rispetta la mia scelta.

Libero, libera, libero, libera libero, libera, libero, libera.
Libero, libera, libero, libera libero, libera, libero, libera.

Sono libero

Per un'etica condivisa, di Enzo Bianchi

" Il permanere di questo patrimonia di idee e di ideali che hanno saputo tradursi in azioni concrete e quotidiane, la solidità di queste radici che hanno alimentato piante rigogliose capaci di dare frutti mi paiono stridere tragicamente con sentimenti, ragionamenti, disposizioni amministrativfe o legislative che presentano un quadro palesemente in contrasto con un'identità cristiana proclamata verbalmente. Si assiste, giorno dopo giorno, a una progressiva criminalizzazione del diverso, dello straniero, del povero, del debole: impronte digitali prese a bambini di un'etnia minoritaria, classi speciali che ostacolano quell'integrazione che dicono di voler promuovere, schedatura di chi vive senza fissa dimora, allontanamento dei mendicanti dai luoghi dove la loro vista turberebbe chi non li degna nemmero di uno sguardo, ronde private non necessariamente disarmate, introduzione del reato di presenza in Italia, messa in discussione della gratuità e universalità delle cure di pronto soccorso...."
Enzo Bianchi, Per un'etica condivisa, pagg 90 - 91, Einaudi
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Enzo Bianchi interviene con lucidità, amarezza, senza paura ma, purtroppo, con meno speranza di quello che mi sarebbe piaciuto trovare in queste righe. L'analisi è concreta, mai banale, mai discostante da una visione d'Amore radicata nel Vangelo paziente, tranquilla. La tranquillità di una Fede esplicitata nei pensieri, nelle parole scritte che non si sottomettono all'obbligatoria oscenità del linguaggio contemporaneo.
Tuttavia, se da un lato mi sarebbe piaciuto, (servito?) trovare chiare indicazioni di un percorso diverso, migliorativo, dall'altro non posso che annotare quanto la situazione sia eticamente assai peggiore di quanto descritto in queste righe. Suggerirei questa breve lettura non solo ai milioni di cattolici di facciata che circondano gli ultimi nidi di resistenza, ma anche a chi credente non è. Nnon per fare proselitismo, ma come mera prova di vitalità di una Chiesa reale che non si appiattisce su diktat televisivi e bianchi e sterili templi vuoti.
Purtroppo, infine, non posso che rilevare l'assoluta insufficienza delle parole in ogni campo della Vita. Le nostre relazioni sono così fragili, conflittuali e consumistiche da incoraggiarmi a limitarle per quanto possibile: in tempi di barbarie, forse, ci salverà ancora il Benedettino Hora et Labora: il di più proviene dal demonio.

il santo protettore

3 giugno 2009

un fiore sul bilancio


Marco mi ha richiamato alla realtà ieri sera, inviandomi via mail un saluto e qualche immagine.
Se c'è un po' di tristezza per alcune decisioni che si fanno imminenti, foto come questa spazzano via ogni sovrastruttura lasciando intatte solo la coscienza della Verità e la volontà di continuare sulla Strada intrapresa.
Che altro aggiungere?

2 giugno 2009

Due Giugno 2009

"Ma come? Un sottosegretario che va a mangiare con un mafioso del calibro di Franco Sinagra?"

" E figurati che scandalo, che vrigogna! Qualisisiasi cosa fanno, i nostri onorevoli oramà sinni fottono dell'opinioni pubblica! Si drogano, vanno a buttane, arrobbano, 'mbrogliano, si vinnino, spergiurano, fanno affari con la mafia, e che gli può succediri? Massimo massimo che ne parlano i giornali per tri jorni. Po' tutti si scordano di loro. Ma loro, di tia, che hai sollevato lo scandalo, no nsi scordano, puoi essere sicuro, e te la fanno pagare".


Andrea Camilleri, La danza del gabbiano, Sellerio Editore Palermo, pagg. 250 - 251